Edvard Munch nacque a Loten,in Norvegia, il 12
dicembre 1863.Edvard era il secondo di cinque figli: Johanne Sophie, la sorella
maggiore con la quale instaurerà un rapporto di grandissimo affetto,Peter
Andreas, Laura Catherine e Inger Marie.Suoi parenti erano anche il
pittore Jacob Munch e lo storico Peter Andreas Munch, fratello
del padre.
La famiglia si trasferì a Christiani (l'odierna Oslo)
nel 1864, quando Christian Munch venne impiegato come medico presso
la fortezza di Akershus. Sin dalla fanciullezza,Edvard fu provato da una
serie interminabile di disgrazie familiari: la madre morì di tubercolosi
nel 1868, seguita da Johanne Sophie nel 1877, che spirò stroncata dalla stessa
malattia. A curarsi del giovane Munch, dopo la morte della madre, vi erano
il padre e la zia Karen; fu in questo periodo che il giovinetto iniziò ad
interessarsi all'arte, disegnando per tenersi occupato nei momenti di stasi una
dei suoi dipinti più importanti è L’urlo. Muore anche il padre.Egli nella
pittura trova un mezzo efficace per esprimere la sua angoscia e le sue domande
nei confronti del dolore e dei drammi dell’esistenza,anche la natura è
partecipe delle angosce umane.
L’URLO(1893)
L’URLO(1893)
Il messaggio che Munch ci ha
voluto dare emerge già nel nome della tela: L'urlo. Il protagonista
della scena è, proprio l'uomo urlante, nel quale Munch infonde tutto il suo
crudo stile pittorico. Il suo grido, lancinante ed unico nel trasferire
angoscia allo spettatore, sembra con la sua sonorità deformare l'innaturale
paesaggio, composto da un cielo striato da venature color rosso sangue e da un
mare nero ed oleoso. Oltre al personaggio al centro, vi sono le sagome di due
uomini sullo sfondo, che sembrano ignorare completamente quel lancinante grido
di disperazione: anche la loro collocazione, posta ai margini della tela,
suggerisce questa loro sordità ed impassibilità di fronte all'angoscia del
pittore, che così ha deciso di tradurre in immagini la falsità dei rapporti
umani.
L'urlo di quest'opera, insomma, è
un'esplosione di energia psichica di inaudita potenza, che rende la tela una
metafora della morte che spazza via, travolge, il senso della vita: proprio
come fa questo grido sordo, un modo di guardare dentro di sé, ritrovandovi solo
sofferenza.
Lavinia Roncacci 3^c
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